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Casa dolce casa

Casa campidanese
Scritto e illustrato da Isabel Budroni

Il patrimonio immobiliare italiano è responsabile del 40% delle emissioni di CO2 in atmosfera. Se non facciamo fatica a pensare ai nostri veicoli come responsabili delle emissioni di gas serra, risulta meno immediato considerare la propria casa come responsabile della crisi climatica.

La scegliamo seguendo criteri estetici, per finiture, arredamento e numero di stanze un po’ meno seguendo criteri che possano garantire un miglior uso delle risorse e maggior vivibilità.

La casa può essere un vero buco nero nello spreco di acqua ed energia, soprattutto se non viene progettata con materiali e geometrie adatti e secondo principi che sfruttino gli apporti energetici naturali.

Un tipo di progettazione che prevede la valorizzazione di componenti come acqua, aria, luce ed energia e che prevede interventi coerenti con le peculiarità del luogo e del contesto ambientale in cui si interviene, si chiama bioclimatica.

Questo tipo di progettazione e’ stata riscoperta intorno agli anni 70 e ha ancora più senso oggi. Sfruttando gli apporti energetici naturali in maniera passiva e  contemporaneamente limitando gli elementi e l’estensione di superfici disperdenti calore, questo tipo di progettazione implica un minore spreco di energia.

Un giusto orientamento dell’edificio verso il sole, una forma compatta dello stesso, un’adeguata disposizionedimensionamento delle finestre garantiscono non solo risparmio ma creano condizioni climatiche ottimali durante tutto l’anno (“Progettare con il clima e il sole. La bioclimatica nella storia.” Valentina Gianfrate).

Abbiamo la fortuna di vedere applicati i principi della bioclimatica in architetture vernacolari legate alla tradizione, eccone alcuni esempi:

Trulli (Puglia) I trulli hanno uno spessore delle murature che va da 1mt a 2.5 mt offrendo forte inerzia termica: durante il giorno le mura assorbono calore e lo trattengono per poi disperdersi durante la notte.

Mesa verde (ColoradoQuesto insediamento del XIII secolo si trova incassato nella roccia ed esposto verso sud in una posizione in cui rimane riparato durante l’estate ma non durante l’inverno, durante il quale i raggi riescono a penetrare nelle cavità rocciose, che accumulano calore o lo rilasciano  lentamente negli ambienti interni durante la notte.

Sassi di Matera ( Basilicata)Usati in passato come cisterne d’acqua e solo dopo diventati abitazioni, sono cavità nella roccia nelle quali i raggi di sole estivo molto più perpendicolari non arrivano, ma che vengono attraversate da quelli invernali ottenendo lo stesso effetto di inerzia termica.

Torri del vento iraniane Dette acchiappa vento, queste torri catturano il vento in quota, veloce e freddo, lo convogliano all’interno di condotti verticali spessi e consistenti che ne impediscono il riscaldamento, lo convogliano poi in un canale sotterraneo che rinfresca ulteriormente l’aria che arriva infine nell’abitazione da climatizzare. Questo flusso d’aria si inverte di notte.

Case tradizionali campidanesi in “ladiri” L’uso della terra cruda ha accompagnato l’uomo fin dal principio, in Europa ci sono esempi (Spagna e Germania) di come si può declinare in modo differente l’uso di questo materiale di facile reperimento. Anche in Italia le tecniche variano dal “pisè” piemontese, ai “massoni” abruzzesi, ai mattoni di terra cruda sardi.

In Sardegna, in particolare in tutto il Campidano, le abitazioni tradizionali sono caratterizzate da alcuni elementi peculiari, il più importante è sicuramente l’uso del materiale del mattone di terra cruda: il “ladiri”. Questo elemento, associato alla mano del “maestro” costruttore e a una progettazione delle forme, delle aperture e degli elementi ombreggianti, permetteva di avere delle abitazioni multifunzionali con un microclima interno costante sia nel periodo invernale che in quello estivo. I muri portanti in terra cruda, con spessori di oltre 40 cm abbinati a porticati, esposti a sud, su delle corti chiuse erano sicuramente il segreto per sfidare le temperature estive ed invernali.

Vari sono gli esempi di bio architettura declinata in diversi climi da architetti che hanno fatto scuola: Le Corbusier, Thomas Herzog, Alvaro Siza, renzo Piano o Micheal Reynolds.

Tutte queste soluzioni ci dimostrano un altro modo di costruire e ci riportano a quelle che dovrebbero essere le responsabilità di chi progetta un edificio e le soluzioni che propone. Se le recenti leggi, ci riferiamo al decreto con cui è stato varato l’eco bonus 110, finanziano interventi che a volte non hanno niente di sostenibile nella scelta di materiali caratterizzati da un’impronta elevata di carbonio ( l’uso di derivati del petrolio per l’isolamento), quanta responsabilità ha chi dovrebbe offrire una progettazione consona non solo al luogo ma anche al momento storico in cui viviamo? Ragionamento analogo vale per l’uso del suolo nel nostro paese.

In Italia esistono centinaia di km2 di edifici fatiscenti e in disuso che potrebbero essere rigenerati rivalutando interi quartieri. Questo tipo di intervento rappresenterebbe un’alternativa sostenibile allo sfruttamento di suolo mai edificato, evitando la sua ulteriore impermeabilizzazione e le nefaste conseguenze che conosciamo.

La sfida di chi progetta oggi i luoghi nei quali passiamo il 90% del nostro tempo sarà proprio riuscire a costruire soluzioni che non solo si adattino ai cambiamenti ambientali e sociali che stiamo vivendo, ma che riescano ad essere modelli virtuosi per diminuire gli sprechi.



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