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Migranti climatici

Scritto e Illustrato da Isabel Budroni

Cosa è un migrante climatico?

A.Uno a cui piace vivere in climi temperati

B. Una persona costretta a fuggire per un evento improvviso o progressivo legato alla crisi climatica.

C. Un individuo che ama cambiare paese ad ogni stagione

Hai indovinato: la seconda.👏🥹

La definizione di migrante climatico è di per sé controversa.

Poiché la migrazione è un fenomeno sociale in base al quale un gruppo o un individuo si spostano da un posto all’altro di solito per migliorare le proprie condizione di vita, sarebbe più opportuno parlare di profugo climatico, definizione che implica la necessità di scappare dal proprio paese perché incapace di garantire i diritti fondamentali (come quello alla salute).

Nel diritto internazionale il profugo climatico non è riconosciuto: non rientra nella definizione di rifugiato stabilita dalla convenzione di Ginevra come “ individuo che scappa a causa del fondato timore d’essere perseguitato ( e ucciso) per motivi di religione, razza, nazionalità e opinione politica”.

Eppure uragani, tempeste, siccità causate dalla crisi climatica vedono milioni di persone abbandonare le proprie case: l’UNHCR stima in 21.5 milioni le persone che dal 2008 sono state costrette a fuggire.

I territori più esposti a fenomeni naturali estremi sono anche quelli in cui esistono conflitti e persecuzioni razziali e culturali: secondo il Climate Risk Index 2021 i paesi più esposti alla crisi climatica tra 2000 e 2012 sono stati Myanmar, Mozambico, Zimbabwe, Haiti e Bahamas.

Molti paesi in via di sviluppo in Asia, Africa, America del Sud hanno già climi estremi che sono esacerbati dalla crisi  e che li rende ulteriormente vulnerabili.

Dipendono da risorse naturali: la loro economia si basa su agricoltura o industria estrattiva che facilmente può essere condizionata dai cambiamenti climatici.

Hanno una crescita demografica maggiore che preme su necessità alimentari e situazione idrica.

Sono poveri: non hanno risorse necessarie a contrastare una situazione di emergenza.

Non solo, questi paesi che pagano il prezzo più alto della crisi sono anche quelli che hanno contribuito di meno alla produzione di emissioni: storicamente gli stati occidentali sono quelli che hanno contribuito per l’85% a tale produzione, l’Africa intera ne ha prodotto solo il 3%.

Per questo durante la tanto attesa Cop28 di Dubai, quella che avrebbe dovuto sancire il phase out dai combustibili fossili, abbiamo sentito parlare dell’approvazione del  fondo Loss and damage, strumento  istituito per risarcire paesi con economie in via di sviluppo dai danni della crisi climatica.

Cosa ne penserà John Silk capodelegazione delle Isole Marshall che a chiusura lavori ha dichiarato:

Siamo venuti qua per costruire una canoa insieme, in realtà abbiamo uno scafo danneggiato, pieno di buchi.”

Sebbene il testo finale uscito da questa Cop riconosca nero su bianco la nostra dipendenza dai combustibili fossili, non ha fissato nessun limite o data per quello che sarebbe dovuto essere il phase out ( eliminazione di petrolio e gas) sostituendo questo termine con transition away ( allontanamento).

Di certo per tutti coloro che hanno visto sparire le proprie case sotto il livello del mare e quelli che rischiano di viverlo a breve ( è il caso delle Marshall) un allontanamento in data da destinarsi dai combustibili fossili non costituisce una soluzione.

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